giovedì 23 dicembre 2010

Carmen Consoli: "In Italia chi si distingue per merito è costretto a nascondersi"


di Ersilia Crisci

Ho incontrato Carmen Consoli in occasione della presentazione del suo ultimo disco, Elettra, alla Feltrinelli di via Appia a Roma verso la fine di febbraio. Durante l’incontro, moderato da Federico Guglielmi, la Consoli ha raccontato ai suoi fan la genesi dell’album, il doppio tour in cui adesso è impegnata, la partecipazione al Sanremo. È stata inoltre presentata la nuova biografia della cantantessa, scritta da una sua giovane fan, Elena Rugei.



Da cosa nasce Elettra, il tuo ultimo album?

Carmen Consoli: Questo disco mi ha aiutata a trasformare un momento abbastanza difficile della mia vita e ad uscirne addirittura con gioia. Dentro c’è tutto, il desiderio di rinascere, di superare, di ricostruire. È un disco d’amore, a trecentosessanta gradi: l’amore paterno, materno, filiale, abusato, l’amore violento, l’amore per la propria terra. Mi ha fatto capire l’enorme importanza che la musica ha per me, l’ho usata come medicina.

Come mai hai scelto di intitolarlo Elettra?

C.C.: Elettra è un personaggio caleidoscopico, è stata interpretata in molti modi e quindi ha tantissime facce. Il titolo si riferisce al complesso di Elettra, all’amore verso il padre. Mi sono chiesta oggi cosa ci direbbe questo personaggio. Per me, nella mia canzone, è una prostituta.

Il tuo ultimo album, Eva contro Eva, ha uno stile marcatamente folk, mentre il nuovo no. Qual è il motivo?

C.C.: Io credo che i dischi riflettano le esperienze della vita. Solitamente tengo dei laboratori aperti al pubblico, ed Eva contro Eva viene dopo un laboratorio che avevo fatto cantando musica tipica siciliana, quella della tradizione che avevo vissuto sulla pelle. Questo disco invece è un recupero delle sonorità a me care, forse anche delle parole, nasce con le stesse caratteristiche del mio primo disco, quindici anni dopo. Il suo laboratorio è stata la realizzazione della colonna sonora de “L’uomo che ama”, ha sonorità simili e la stessa impostazione. Oggi stiamo facendo un altro tipo di esperienza: da una parte di tipo elettronico, dall’altra teatrale, più europea, per cui chissà il prossimo disco cosa sarà.

In questo momento stai facendo un doppio tour, in due contesti diversi, ma organizzati assieme. Perché?

C.C.: Avevo voglia di sperimentare. Volevo sperimentare la musica elettronica insieme con il pubblico, fare giochi, scherzare, parlare e cantare in diverse lingue, tedesco, francese, inglese, recuperare vecchie cover. Se avessi fatto solo questo avrei disorientato il pubblico. Invece i due concerti insieme sono complementari.

Che differenze ci sono tra i due tour?

C.C.: In un caso le sonorità sono più estreme, ma le canzoni trattano di amore, sono le stesse tematiche di Mediamente Isterica. Nell’altro le sonorità sono più acustiche ma le tematiche più rock: mio zio, gli abusi in famiglia… però suonate con i mandolini. In questo modo mi sono tolta il peso di dover giustificare a chi ama la musica acustica perché faccio rock, a chi ama il rock perché faccio musica acustica. Anche se cambio l’abito il contenuto è lo stesso.

In tutti questi anni hai mantenuto sempre uno stile fortemente riconoscibile, come ci sei riuscita?

C.C.: Non l’ho fatto progettandolo. Io in realtà tento in tutti i modi di omologarmi, vado a Sanremo, provo a vestirmi anni quaranta, a fare grazie dei fiori, cerco di fare la signorina d’Italia. Il punto è che ho cercato sempre di tirare fuori con sincerità il frutto della mia creatività, tento sempre di essere me stessa e cerco di non prendermi troppo sul serio. In fondo l’arte è anche divertimento, non bisogna fare per forza gli intellettuali. Lo facevo negli anni Novanta ma ero piccola, adesso sono una donna di 35 anni e mi va di fare ciò che più mi piace, ciò che più mi diverte.

Hai da poco concluso il tuo tour americano, come è andata?

C.C.: Avevo preparato tre spettacoli diversi, uno da bassista, uno da chitarrista però con le chitarre tutte in cordatura aperta, uno da chitarrista e cantante con un altro repertorio. Dovevo dividere la mia giornata dedicandomi a turno a tutte e tre le cose, per fortuna il mio staff mi ha fatto dei cd contenenti tutta l’esecuzione tranne il mio strumento e la mia voce, così potevo studiare. Arrivata negli Stati Uniti ho portato il concerto per chitarra e voce, abbiamo fatto un mini tour, un giorno dopo l’altro, e il riscontro è stato davvero esaltante. Ho portato per così dire il mio rock, contaminato da elementi della mia terra, ho suscitato grande curiosità come ogni anno. Dobbiamo tornare e ci sono sempre più date.

Una delle novità del disco e del tour è che suoni il basso...

C.C.: Sì, la novità è che ho abbracciato il basso elettrico. Ma, non essendo molto fine come bassista, anzi un po’ zaurda, come si dice a Catania, cioè un po’ tamarra, sono venuti fuori pezzi come Mosca Cieca, che si discostano moltissimo da Eva contro Eva, dove c’era invece un fior fiore di bassista, che era Alejandro. L’idea è nata perché ci siamo ripromessi con la band che nessun altro avrebbe suonato il basso elettrico al suo posto, quindi l’ho imbracciato io. Non l’ho fatto per la presunzione di poter fare tutto, ma per sentirlo ancora vicino a noi. Sul palco porto il suo strumento e il suo amplificatore, stiamo vivendo tutti questa emozione.

Da poco ti sei esibita al Festival di Sanremo, ma non eri in gara...

C.C.: Perché odio la competizione. Stimo tutte queste persone che concorrono e si fanno giudicare, io non ho preso nemmeno la patente per non farmi giudicare. Quando ho partecipato quindici anni fa un mese dopo mi sono venuti i capelli bianchi. Però ho partecipato come ospite perché penso sia incoerente per una cantante italiana, che vive in Italia, snobbare il Sanremo. Inoltre ho avuto modo di provare dei piaceri forti: avere un’orchestra di musicisti bravissimi che fanno venire la pelle d’oca, cantare una canzone storica come quella di Nilla Pizzi, e collaborare col maestro Vessicchio. Ho sempre desiderato lavorare con lui, che piaceva tanto al mio papà… ha accettato di scrivere gli archi per la canzone dedicata a lui, "Mandaci una cartolina".

Cosa ne pensi del Sanremo di adesso?

C.C.: Penso che il festival della musica italiana sia unico al mondo, nessun paese del mondo ha una cosa del genere. È il suo contenuto ciò che crea discussioni, assensi e dissensi. Ha vissuto momenti sicuramente più felici. Credo che il festival sia talmente radicato nella nostra cultura da essere uno specchio della nostra società. Noi siamo in un paese in cui chi si distingue per merito e talento è costretto a nascondersi, nel Sanremo vedo proprio questa lente, pensiamo al principe che canta…

(Pubblicata il 17 marzo su recensito.net)

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