di Ersilia Crisci
“Gli uomini si dividono in due categorie. Quelli che si mettono comodi ed appassiscono, e gli altri. Io faccio parte degli altri”. A parlare è Tony Pagoda, protagonista di "Hanno tutti ragione" primo romanzo dell’acclamato e pluripremiato regista Paolo Sorrentino, presentato alla Libreria Feltrinelli di via Appia di Roma.
Cocainomane cantante napoletano, dopo aver trascorso diciotto anni in Brasile, Tony decide di tornare in Italia al servizio di un potente uomo politico, scoprendo così quanto sia cambiato il suo Paese.
Sorrentino presta la propria voce a quella del protagonista, che descrive i personaggi e i luoghi cari alla formazione dell’autore, gli ambienti dei cantanti neomelodici degli anni ‘70, la loro musica, il loro rapporto con le donne e, soprattutto, con la droga, attraverso un linguaggio corrosivo e decisamente attento alle sfumature.
Paolo Sorrentino ci racconta come è nata la sua prima creatura letteraria.
Cosa ti ha spinto a fare il grande salto dal cinema alla letteratura?
Paolo Sorrentino: Ci pensavo da tanti anni a scrivere un libro. Quando ragionavo sulla sceneggiatura de "L’uomo in più" in più prendevo anche degli appunti per un romanzo, che poi era proprio questo qui. Però in realtà il vero grande salto è stato passare dalla sceneggiatura alla regia: il passaggio dallo scrivere sceneggiature a scrivere un romanzo non è così traumatico, così come non lo è al contrario, chi scrive libri si può trovare con una certa naturalezza a scrivere sceneggiature per il cinema. C’è però anche da dire che sin dall’inizio, da quando ho cominciato a scrivere sceneggiature, quelli più grandi di me e più bravi, con i quali ho collaborato, come il regista napoletano Antonio Capuano, mi hanno sempre indirizzato verso un approccio alla sceneggiatura che avesse anche delle vicinanze con la letteratura. Spesso si leggono delle sceneggiature che sono simili ad un “verbale di polizia”, schematiche e asettiche, mentre loro mi hanno sempre indirizzato ad un tipo di scrittura che fosse debitrice della letteratura.
Quali sono state le principali differenze tra lo scrivere una sceneggiatura e scrivere un libro?
P.S.: Nella scrittura cinematografica si deve necessariamente rendere conto a tutta una serie di referenti, non ultimo a chi ti deve dare una quantità non marginale di danaro, sei quindi portato a scrivere tenendo conto di molti limiti, di cui il principale è il tempo: un film non può andare oltre una certa durata, invece il libro ti consente una grande libertà. Ero libero anche perché la scrittura del romanzo è nata come una forma di puro divertimento, non sono stato soggetto a strategie e pianificazioni a tavolino, mi sono divertito e basta. Ad un certo punto l’ho fatto leggere ad alcune persone, agli amici, per scoprire se quello che divertiva me divertiva anche gli altri. L’obiettivo primario del libro, infatti, era fare ridere, che è la mia ossessione primaria e che al cinema credo mi riesca molto poco, nonostante i miei numerosi tentativi di cui non si accorge nessuno… A parte scherzi, l’obiettivo primario del libro era far ridere, e sapere che chi l’ha letto ride significa per me che il risultato è stato ampiamente raggiunto.
Quindi da un punto di vista narrativo la differenza principale è nella temporalità?
P.S.: Sì. Questo libro è in un certo senso il contrario di una sceneggiatura. Una sceneggiatura è fatta spesso di trama, ci si chiede come attaccare una scena all’altra, come cominciarla e come finirla. In questo libro non mi pongo nessuno di questi problemi, ho potuto lavorare in libertà, mi muovo nel tempo e nello spazio con grande fluidità, senza vincoli, con rallentamenti e accelerazioni. Basti pensare che una buona metà del libro racconta di una domenica. Una domenica napoletana, fatta di droga e di sbandamento. Invece i diciotto anni brasiliani li ho raccolti in due o tre capitoli. C’è anche una grande attenzione alle pause, dal ritmo frenetico della voce del narratore si passa alle sue riflessioni dilatate, sviscerate fino al loro nucleo centrale.
Tony Pagoda ha una forte somiglianza con Tony Pisapia, de L’uomo in più. Che collegamento c’è tra i due personaggi?P.S.: Il personaggio è proprio lo stesso, solo che con il passare del tempo ho trovato un cognome che mi piaceva di più, “Pagoda” trovo che sia più bello di “Pisapia”. Il personaggio è esattamente lo stesso, ma il libro non c’entra niente con il film, le vicende sono tutt’altro. Per me il personaggio del cantante di musica leggera degli anni ’70 è una fonte di ispirazione inesauribile. Ha una caratteristica umana che io gli invidio molto, cioè di essere estremamente vitale e quasi ottusamente innamorato della vita. Pagoda è un personaggio per certi versi ottuso, ma la sua ottusità è un vantaggio sugli altri anziché uno svantaggio. In tante situazioni sembrerebbe infatti non avere i mezzi per sopravvivere, mentre invece ci riesce sempre brillantemente. E poi il cantante di musica leggera dei quegli anni è un personaggio che offre delle ottime possibilità di attraversare molti mondi. Quelli che ho conosciuto passavano con molta disinvoltura dalla frequentazione dei malavitosi alla frequentazione di gente colta, così come con grande disinvoltura frequentavano le droghe e situazioni piuttosto squallide, come con l’universo femminile, ma erano capaci poi di grandi guizzi poetici quando scrivevano i testi delle proprie canzoni. C’è un tale eclettismo nei cantanti di quegli anni che per chi come me ha voglia di mettere il becco un po’ in tanti mondi da fungere meravigliosamente da Caronte traghettatore da una dimensione all’altra.
La vicenda del neomelodico che torna al servizio di un potente uomo politico ricorda molto da vicino una situazione già vista nel nostro Paese…
P.S.: Indubbiamente non sarebbe credibile dire che non ho pensato al caso Apicella. Anche se Apicella non è propriamente un cantante, è uno che dice di sé di essere un cantante. Però tra i cantanti o sedicenti tali è sicuramente una delle figure più interessanti, è indubbiamente quello che meglio rappresenta la capacità di passare con disinvoltura da un ambiente all’altro. Sì, indubbiamente ho pensato a questa situazione, ma non è il punto focale della faccenda. Il punto focale dell’ultima parte del libro è che questo signore, Tony Pagoda, tornando a Roma dopo vent’anni di assenza dall’Italia, fa fatica a mettere a fuoco gli accadimenti che hanno cambiato l’Italia, che poi è un po’ quello che succede a tutti noi anche senza essere stai lontano dall’Italia vent’anni. Mi interessava dargli quest’alibi, legato all’assenza dal Paese, in modo che avendo l’incapacità totale di comprendere ha il bisogno di farsi spiegare tutto, ma resta comunque nell’incapacità di decifrare il presente. È, questa, una sensazione che provo spesso che è comune a molti, ma che nel suo caso è corroborato dall’assenza.
Cominci ogni capitolo citando dei versi di canzoni...
P.S.: Sono un omaggio ai parolieri della musica italiana. Mi sembra che ci siano parole di canzoni che hanno un grande valore letterario, e mi piaceva l’idea di dargli un tributo in un libro.
Quali sono le letture che ti hanno maggiormente influenzato?
P.S.: Sono moltissime, anche solo restando nell’ambito della letteratura italiana. Preferisco tutti gli autori, di ieri e di oggi, che abbiano una grande forza nel linguaggio. Mi piace molto Carlo Dossi, o anche l’innominabile D’Annunzio, che trovo però molto interessante proprio sul piano del linguaggio. O anche Montesano, che scrive in napoletano italianizzato: quando la borghesia italianizza il napoletano ci sono delle costruzioni linguistiche che fanno sorridere. Il mio piccolo, umile, lavoro sul linguaggio è consistito proprio in questo, prendere la lingua della città in cui sono cresciuto e italianizzarla. Non è ili linguaggio della Napoli del centro, ma della Napoli che si è imborghesita, che viene infatti contrastata da chi si sente napoletano al cento per cento.
I personaggi femminili del libro sono diversi da quelli dei tuoi film, e hai una grande attenzione nel descrivere le scene di sesso.
P.S.: Sono molto soddisfatto dei personaggi femminili del libro, a differenza di quelli dei miei film che lasciano abbastanza a desiderare e costituiscono di solito oggetto di critiche. In questo caso invece ne sono molto contento, perché avevo a disposizione un personaggio pressoché ossessionato dal sesso, che ha, per così dire, un accumulo di donne. Ho cercato di descrivere le dinamiche sessuali fino in fondo, di essere efficace: il problema delle scene di sesso, che è comune anche al cinema, è che un po’ per pudore un po’ per imbarazzo si finisce per essere generici, cosa che lo spettatore generalmente non sopporta perché se c’è qualcosa di cui tutti bene o male hanno conoscenza è proprio il sesso. ho cercato di essere preciso e di esprimerlo per come il personaggio avrebbe potuto viverlo.
Un’ultima domanda: da dove viene il titolo del libro, "Hanno tutti ragione" ?
P.S.: A dire la verità prima si chiamava “Tony Pagoda e il vitalismo”, ma non convinceva un po’ nessuno. Poi sono andato dal mio editore con una lista di titoli, e lui mi ha suggerito tra i vari questo. Mi sono subito convinto.
(Pubblicata il 18 marzo 2010 su recensito.net)
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